Marcello Venturoli

Più umana e più vera ... la donna nella recente pittura di Anna Sticco - luglio 2001

 Dalla piccola monografia che le dedicai nel luglio 1994, a conclusione di una lunga e proficua frequentazione, mi pare che sia trascorso fra Anna Sticco, pittrice realista assai riconoscibile nel panorama artistico d'oggi, e me, che vi sto dentro da sessant'anni, assai più d'un lustro.

Perché l'artista di Siena ha continuato ad operare con una ricchezza di proposte ed una frequenza di tale vitalità da farmi pensare a lei come ad un personaggio della pittura contemporanea più fisionomico che raro: intanto per la felicità che ha saputo trovare nel dialogo con il suo pubblico e poi per la freschezza, naturalezza della sua espressione, capace di raccontare senza stanchezze di sigle e leziosità di maniere anima e corpo, destino e condizione, mistero e sentimento della donna.

Il mondo della Sticco ha subito in questi anni una forte evoluzione. Il rapporto con l'uomo era in certo modo polemico in una sorta di surreale femminismo ( l'apparire nell'habitat dei suoi amati personaggi coi calzoni e le teste di rapaci, connubi di donna e uomo in cui la presenza dell'altro sesso era piuttosto un disturbo che un tenero aiuto - vedi "Nostalgia", 60 x 80 e "Donna al ristorante con camino").

Ora, se l'uomo è accolto nella privacy delle sue modelle e protagoniste, appare in una presenza esistenziale ed erotica del tutto accettata dalla pittrice, come in "Coppia davanti allo specchio", una sorta di contemplazione operativa, l'accettazione da parte della donna di essere quasi del tutto nuda in virtù di una "dolce violenza".

Molto più affettuoso e naturale è il mondo femminile "tout court" dipinto da Anna Sticco in questi ultimi anni. Come le sue giovani donne dipinte nella sola filosofia dell'"attimo fuggente" impressionista. Come "La ragazza dell'Iris", tecnica mista su tela cm 50x70. Il fiore grandissimo, perché in primo piano, sembra festeggiare col suo sbocciare la presenza della giovane in basco e cappotto, colta nel suo passo fuggitivo. Originale è "Autoritratto al volante", cm 70x100, eseguito nel 2000. Felice il bianco integrale della carrozzeria, a cornice del sorriso, fino ad ora ben raro del personaggio. E che dire dei due "bere, sul tavolo" e "pensieri fumosi" (anche questo secondo su tavola) a reiterare nei gesti, nelle pose, i vizi veniali, attese non catastrofiche.

Anna Sticco approfondisce con segno e colore in una semplicità di racconto, i temi della solidarietà, dell'amicizia. Splendidi i motivi, tutti, delle "Amiche". In un olio su tavola 50x50 le figure contemplano i loro visi allo specchio, con la serietà di chi controlla e perfeziona che tutto sia in ordine. Non c'è nulla di equivoco e di morboso, tranne ciò che noi uomini pensiamo di fronte a questo accanimento così tipico, l'alleanza di loro per entrare nel gineceo volontario allo scopo di essere al massimo gradite. Toccante, semplice, originale è, sotto questo profilo, "amiche alla mostra". L'occasione è il conoscersi, l'essere invisibile in tante occasioni e specchiarsi nell'evidenza di figure femminili dell'esposizione, non è un segreto da proteggere, ma una situazione da difendere.

E che dire del bellissimo "ritratto a due", della ragazza bionda col cappello rosso, che occupa quasi tutto lo specchio del quadro, e dell'amica silenziosa alle sue spalle?

Figure femminili nella loro gentile ed affettuosa intimità la nostra pittrice festeggia in "Lingerie" (tecnica mista su tavola 50x50, 1999) una situazione umanissima in quel distendersi inerte. La forza e l'autonomia dei suoi ritratti di donne dentro la vita, comunque siano vestite, abbigliate, in qualunque modo la posa le atteggi, esprimono prima di tutto un carattere preciso, un'anima in filigrana, così riconoscibile da farcele vedere travestite tutte dalla necessità di apparire: la loro "bugia" d'essere quindi fatali, alla moda, misteriose, è una specie di crisalide, che cade aperta dalla incontrovertibile leggibilità della loro saldezza e umanità. Mi riferisco a "Grace" (tecn. mista 50x40) e a "Ragazza col basco rosso". E' una delle sue tipiche fanciulle che ci guarda con la disposizione d'animo di chi comincia la vita con la fiducia intatta e un programma di entusiasmo. Queste erano le anime che io amavo mi visitassero coi quadri che Anna Sticco mi ha portato via via a vedere ad Ostia, lontane da tentazioni e velleità di quanti oggi sono invogliati ad una sorta di ripresa di neorealismo, una specie di ritorno all'ordine contro la sazietà di tanti decenni di "ismi" post avanguardistici. Ma una pittura figurativa oggi sentita e vissuta come una necessità di vita, come la più diretta opportunità di arrivare a comunicare un sentimento per immagini, me la forniscono pittori del tipo di Anna Sticco.

La quale riesce in certi sguardi sulle donne,commossi e intensi, a dire come l'esistenza prorompa quale meraviglioso dono di natura, così come, senza altro limite, colpa, correzione.

Bisogna avere un cuore fraterno e innamorato come quello di Anna Sticco per raccontare tutto l'affetto, la solidarietà che esprime la "Capinera", lo splendido acrilico su tavola 80x100, la prostituta di alto bordo in cappello e veletta, che fuma, seduta a cosce aperte sul divano rosso.

Figure di questo tipo non sono certo delle Pierine del lavoro e della famiglia, non appartengono nemmeno, altresì, all'ignobile falange delle persone senza personalità e senza orgoglio. E' una degna sorella di tante altre figure di innamorate e di donne per bene: perché qui la pittura di Anna riesce a fare "per bene" anche la capinera.

testo critico di: Marcello Venturoli  La stella di essere donna

Anna Sticco, laureata in fisica, insegna informatica, non certo discipline sorelle gemelle dell'arte, eppure Anna, fin da ragazzina ha disegnato e dipinto; è di famiglia e di adolescenza napoletane, ma dal '79 vive in Toscana e, si sa, la Toscana, specie poi dalle parti di Siena, affina pensieri e immagini come la rena la clessidra. E' inequivocabile pittrice, ma se la vedi, come l'ho vista io a Ostia con figli e marito nella scia limpida e paziente della famiglia, ti pare impossibile che si distolga dai suoi ruoli biblici.

La sua persona, così ben piantata, con quella faccia mora, i lineamenti forti, gli occhi di carbone, sembra esprimere soltanto convinzioni nette, idee perentorie e rassicuranti; ma basta entrare in una conversazione meno formale, più vicina ai suoi interessi di artista, che ne avverti subito la trepidazione, come quella di un ago sismico: ha un'anima di bionda, quanto a cattura di emozioni. Me la ricordo seduta nelle Fiere d'arte davanti ai suoi quadri coloratissimi, un po' rigida, protetta dai suoi vestiti eleganti come in una uniforme; ma se ne scorda, appena le poni un problema; e quella sua voce dalle sfumature toscane, dalle parole precise, un po' mormorate è quella che ti resta nella memoria e che subito festeggi, quando si rifà viva a telefono.

La sua pittura, dopo una decina di mostre personali, soltanto dal 1989, non è certo immobile ed univoca. Benché a un primo assaggio si presenti realista, i suoi personaggi sono ora figli dell'evidenza, ora dell'immaginazioone: una parte dei suoi attori chiamati alla ribalta per recitare quella sua commedia umana vestita a festa nei caffè, nelle strade, dentro le case, nei salotti, è fatta di manichini a grandezza umana che colloquiano e s'accompagnano con le signore (secondo le acute osservazioni di Nicola Nuti, quelle di Anna Sticco sono "rappresentazioni teatriche senza nessuna particolare storia") e un'altra parte di persone (sempre riferite al genere maschile) che hanno teste di rapaci, ma che si comportano con la massima disinvoltura. (Non sono però "maschere", sono pensieri pessimisti che affiorano nell'icona di questa raccoglitrice di eventi, paure, giudizi e, chi sa, amari consensi).

Si potrebbe affermare, senza mentir troppo nella formula, che la pittrice operi in un gusto realistico surreale, però precisando che i manichini e i personaggi dai musi di grifoni non nascono da una trasformazione onirica della visione, ma vi entrano come comprimari.

L'artista non sogna e talvolta pensa di fortificare i racconto con additivi simbolici, con immagini di simboli: specie quando i suoi manichini non raggiungono i primi piani e non si prendono grandi spazi, queste interferenze sono suggestive, creano una specie di mistero o addirittura di innaturale naturalezza, le "verità quotidiane" - come l'artista intitolò il catalogo di una sua mostra personale del 1993 - restano verità anche con la presenza di questi estranei, che, infatti, estranei non sono, anche perché contribuiscono a dare del quotidiano il senso di un assurdo accettato, di un male atteso e inevitabile.

Per la verità io preferisco e amo di più i lavori dell'artista più strettamente legati alla realtà: quei ritratti di donne più o meno ravvicinati, più o meno in ambiente, dove però l'ambiente è poco più di un corollario, non indispensabile. Certo Anna ama isolare fuori del loro contesto sociale, direi meglio fuori dalla occasione esistenziale, le sue giovani donne, belle, eleganti, dai grandissimi occhi languidi e scontenti, sempre dipinte per una luce notturna o, in ogni caso, per una ideale passerella. Però trucco e sentimento, moda e naturalezza, puntiglio e preludio di pianto in quella festa di colori a tutta iride, si mescolano con buon istinto e fortunata grazia.

Come appare evidente nell'intenso dipinto, olio su tela,In Lista d'attesa (1993)dove bellezza e solitudine, orgoglio e fenmminilità, si esprimono nel volto e nella figura di una ragazza dai capelli castani, ricco motivo sul volto e sulle spalle, tenera luce sul viso, la pelliccetta artificiale con cui s'ammoderna la sua bellezza, ma non per questo scade nell'effimero. Di qua e di la, come due carabinieri, uomini in cappello e cappotto: perché Anna solitamente li dipinge così, in questa specie di uniforme, nel loro perenne inverno.

E' un dipinto di taglio quadrato, una finestra esistenziale tagliata perfettamente nell'umana fretta. La stessa qualità, anche se appena resa più monocroma nei rossi la tavolozza (del resto il rosso è colore "ambientale" e passionale di Anna Sticco, uno dei colori più ritornanti e fisionomici della sua attuale arte) presenta un altro dipinto eseguito nel medesimo momento di quello or ora commentato, dal titoloAttesa nella hall (1993): anche in questa tela è in primo piano una giovane donna, più sorpresa dell'altra, di essere guardata, e senza dubbio più disperata; ma l'artista è una delle poche coraggiose madri di se stessa, di coraggiose referenti del pianto proprio, dentro bellissime espressioni di sorelle: che facciano il viso sconsolato, se quel viso e quel corpo contornati dalle gamme rosse, può splendere così, può cioè promettere (se tu ne sei degno) un sorriso domani.

Non mi dispiace affatto quell'aura romantica, figurativa tout-court che dagli americani del Trenta ai Neo realisti troppe volte abbiamo chiamato pompier. Lungi da me voler sostituire ai risultati delle avanguardie, secondi e terzi "ritorni all'ordine" come baricentri e toccasana del gusto possibile oggi; ma un fatto si deve riconoscere in certi artisti realisti d'ora, che dipingono con persuasione una validità, una forza.

Come accennavo, l'artista segue ritratti di donne più o meno ravvicinati, più o meno fatti seguire da altra umanità: sole e insieme, come in virtù di una calamitazione obbligata, le vediamo nell'originale tela de La Sfilata (gennaio 1994) tra i dipinti più calibrati di quest'ultimo periodo, dove a me piace anche l'inserimento dell'uomo dalla faccia di sparviero quale disgrazia accettata o accolta nel mondo femminile. La nostra Anna è stata capace di mettere in primo piano una indossatrice sotto l'ombrello nero di un copricapo, più mascherata che no, più resa schiava del mestiere che idolo della bellezza. Altro che sfilata! E' lei alla testa di un piccolo, triste corteo, in cui mistero e sbigottimento la fanno da padroni.

Emblematico è anche il personaggio di quel plein air reso immobile per il vizio di neri contorni, per quell'attimo fuggente delle espressioni ricavato, si, da una istantanea, ma raggelato come immagine senza tempo, intitolato Al Ristorante (1993). Qui l'occhio della pittrice trasforma in faccia di avvoltorio l'elegante partner con sigaretta; resta assente, impenetrabile alla spensieratezza della ragazza in primo piano che si tiene la falda del cappello, mentre leva il calice.

Mi viene in mente il modo col quale quel mago delle stagioni trapassate, anche quando ha deciso di farvi filtrare il sole per scommessa, Antonio Saliola, bolognese, racconta di nonne ragazzine, di altalene e di cortili senza più un grido, dove ogni cosa bella è apparente e tutto è finito. E' un fatto che il realismo di Anna Sticco, sia quando è solo, che quando è accompagnato da manichini o uomini dai grandi becchi, sia quando, dal gusto del ritratto entra più in quello del teatro, non va preso alla lettera, come fotocopia, fotopittura dell'esistente, ma come diario-inventario dell'umano gineceo.

Nell'operazione artistica di questa visionaria molto concreta sono altre fasi ed altri assaggi di notevole interesse e di diverse soluzioni. Come per esempio Vanità, dove le varie donne raccontate costituiscono una specie di album di ritratti, forse più nell'ordine di categorie di donne che di personaggi, più teatro di idee che storie di vita. Anche l'opera intitolata Tradimento, che pure presenta nel dialogo con lo specchio una suggestione realistica, si rende meno logica - ma cosa è logico, nell'immaginazione? - quando il manichino assume una dimensione così grande. Dietro, la donna esiste troppo. Si possono chiamare talvolta intemperanze e magari acerbità le storie, favole e metafore d'oggi, che l'artista ora racconta in compagnia di maestri surrealisti come De Chirico e Magritte, ora fissa nell'icona quasi pupillare: una realtà femminile che ha una apparenza fotografica e fotografica non è; semmai la pittrice si rifà a certi interni- esterni desolati e puntigliosi delle solitudini cittadine della provincia americana, tra vetrine di negozi e passanti vestiti come guerrieri della vita, anni 40 (Hopper, per esempio). Ma Anna Sticco è sempre riconoscibile.

E come non festeggiare certi suoi risultati che paiono prendere l'avvio addirittura da suoi limiti ed eccessi, da certe sue ingenuità e fissità di modi? Si veda per questo Ombre al Ristorante (1993). L'atmosfera sui rossi si permea d'ombre e la coppia raffigura solo per chi guarda due diverse situazioni: quella del relax nel locale pubblico, sciarpa di seta, dignitosa e bonaria presenza di lui; cappellino e veletta, collana e vestito a grandi maniche cogli sbuffi, lei. Solo che uomo e donna fanno al muro ombre diverse, lui non riflette più se stesso, ma la sagoma del rapace. Altro quadro singolare, anche nel taglio, èDonna Gulliver, dove i manichini diventano i veri pigmei della favola ed assumono, anche figurativamente, una fascinosa misura.

L'arte di Anna Sticco è dunque determinata e in cammino, fisionomica e al tempo stesso ricca di imprevisti, perché nasce come altre nutrite in partenza da una struttura realistica, da una dmensione culturale ricca e varia, che va dalla scienza in senso stretto alla capacità di tradurre l'idea in termini visuali. Nella forza espressiva di questa artista è a stella di essere donna senza per questo rinunciare, anzi esser capace di mettere a frutto della sua costanza e intelligenza gli strumenti della indagine conoscitiva nello specchio della poesia.